Nel trattare determinate patologie, la necessità di un rapido inquadramento diagnostico e terapeutico ha fatto sì che i dati ricavati da un gruppo ristretto di soggetti venissero automaticamente posti in relazione a tutta la restante platea affetta da una medesima sintomatologia.
Secondo questa interpretazione, basterebbe una valutazione standard, comune a tutti, per poter somministrare una terapia standard. Il problema è che i risultati non sono uguali per tutti.
Ogni essere umano è un elemento originale, a sé stante, e necessita di un percorso diagnostico e terapeutico individualizzato.
Il paziente va valutato nella sua unicità, non soffermandosi sulla singola azione di un organo o di un apparato, ma cercando di interpretare quale tipo di relazione tra questi abbia condotto ai sintomi.
Nel caso specifico del campo odontoiatrico, ad esempio, non è detto che le eventuali patologie in loco dipendano esclusivamente da aree di pertinenza dentaria, dell’articolazione temporo-mandibolare, della lingua e via dicendo.
Può essere presente l’influenza a distanza di altri organi o apparati che vedono nella sintomatologia localizzata in zone oro-facciali solo un correlato.

Agire esclusivamente sulle aree dove si manifestano i sintomi può non essere risolutivo e portare a recidive se non addirittura a recrudescenza.
Il dialogo tra odontoiatra e osteopata si svolge proprio a tale livello. Ognuno nel proprio ambito valuta il paziente e grazie a un linguaggio comune dialoga con l’altro.
L’azione odontoiatrica è un atto medico e come tale deve individuare la patologia, mettere in azione le modalità utili per curarla e/o prevenirla affidandosi eventualmente anche a professionalità diverse da quella medica.
Il tutto nell’ottica esclusiva del ripristino della salute del paziente.